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Ode a Sergio

Ode a Sergio
Eri un Tritone dal Ventre di Fuoco,
Bello, vivace e costavi poco
Così ti ho portato con me a casa mia
Ma ti sei rattristato senza compagnia

Tornammo a cercarti un degno amichetto
Trovammo Demetrio, sembrava perfetto:
Insieme per sempre felici e contenti
Giuraste che mai sarebbe stato altrimenti.

Quieti, tranquilli senza liti nè cagnara
V’ imboccavate a vicenda di larve di zanzara
Quieti, sereni, senza mai far casotto
Vi offrivate l’un l’altro l’ultimo cagnotto.

Poi un giorno la tua coda ha smesso di vorticare
Adagiato sul sasso senza più nuotare
Ti sei addormentato, salamandrino rosso e nero
E Demetrio ti pianse di un pianto sincero.

Per giorni e per notti il tuo amico ti ha pianto
Senza mangiare, languendo soltanto
E quando ti dette il bacio del commiato
Non potè più resistere, e venisti mangiato

Che ad averti lontano non poteva pensare,
E averti vicino non poteva bastare.
E così questa storia d’amore è finita
Ma fuori dall’acquario continua la vita.

Madùk

Madùk
Non avevo mai visto volare i pavoni. Credevo che fossero goffi, come tutti gli uccelli da cortile, oltrettutto così grossi non avrei mai creduto avessero tutta quella grazia. Alla luce della sera, quella luce che in questa fine d’inverno è ancora così breve, tutti i pavoni, uno dopo l’altro, si sono alzati in volo. Le lunghe code spioventi, le ali grandi, i colli protesi: si andavano a posare, uno dopo l’altro, sui rami dell’albero, che sono ancora spogli in questa fine d’inverno, e che sono neri contro la luce breve della sera. Trenta, forse quaranta pavoni, si vanno a posare sull’albero per passare la notte. E l’albero non sembra più spoglio, sembra quasi decorato, sembra un riassunto del paradiso quando un pavone allarga le penne lassù in alto e fa la ruota, mentre gli altri ventinove o trentanove attorno fanno da cornice silenziosi. Ma ormai è buio, e non si vedono più i loro colori, è buio ed è l’ora dei gatti che arrivano a due a due alla ricerca di qualcosa da mangiare. E dopo qualche minuto arrivi anche tu, che eri il mio piccolo e che dormivi nel mio letto. Che ti facevi mettere le goccine negli occhi facendo le fusa. Il pelo più folto e più sporco, lo sguardo più diffidente ad ogni nostro nuovo incontro. Ci siamo rimasti male, lo sai? la prima volta che ti abbiamo rivisto. E tu ci guardavi immobile dall’altra parte del cancello, per poi voltar la coda e andare via con i tuoi nuovi amici randagi. Ora no, ora lo sappiamo che hai scelto un bel posto dove stare. Ma lo stesso, con la scusa di vedere i pavoni volare sull’albero, qualche sera passiamo vicino alla serra e ci affacciamo al cancello. E se ti vediamo proviamo comunque a chiamarti per nome. E i croccantini, continuiamo comunque a portarteli.

Se adesso te ne vai

Se adesso te ne vai
Se adesso te ne vai, io mi metto a piangere forte.
Se adesso, in questo momento, capissi che altre occasioni ti stanno aspettando e che non ti puoi permettere di lasciarle sprecate, io ti capirei. E poi mi metterei a piangere forte.
Se ora, in questo preciso istante, ti rendessi conto che non sappiamo più dirci nulla, io non te ne farei una colpa. E non me ne farei una colpa. Solo, mi metterei a piangere forte.
Se venissi da me fra poco, fra pochissimo e mi dicessi "io ora me ne vado", penserei che in fondo sono stata già tanto tempo senza di te, e che potrò sopravvivere benissimo. Ma lo stesso mi metterei a piangere forte.

Lo sappiamo bene, siamo come i gatti noi.
Inaffidabili, solo per chi non riconosce l’istinto. Imprevedibili, solo per chi al buio non ci vede. Incomprensibili, solo per chi si aspetta un ritmo costante che la vita non ha mai.
E i gatti, a volte, decidono di andare via.
Quindi, se tu ora decidi di andartene, come un gatto, io come un gatto morirò sei volte per rinascere la settima e godermela fino in fondo. Ma prima, mi metterò a piangere molto forte.

Pavana Lachrymae

Pavana Lachrymae
E siccome qui è tutta una valle di lacrime, anche i gatti hanno imparato.
Piangono davanti alle ciotole (che siano vuote o piene)
Piangono davanti alla porta del bagno (che sia chiusa o aperta)
Piangono seduti sul pavimento, perchè vorrebbero salire sul nostro letto ma lo abbiamo preso apposta a palafitta.
Piangono in coro, con delle vocine che mi spezzano il cuore.

Che mi spezzerebbero il cuore.

- Allora, sentitemi bene Tronchetti e Provera: perchè non vi arrampicate sui miei jeans e mi graffiate un po’ i maroni, che magari mi date meno fastidio?

Che famiglia difficile.

E' di famiglia

E' di famiglia

Emma, la simpatica cagnolina di famiglia, una westie tutta pepe, farà i cuccioli.
Ora, non vorrei sembrare paranoica, ma l’universo che mi circonda ha deciso di indire un torneo di procreazione, visto che è da tutto settembre che sento parlare solo di figliate e simili. E vabbè.
Ma non è questo il punto.
Indagando-indagando, ho capito che essere state a letto con il mio attuale ragazzo è una sorta di rito di passaggio, di tappa obbligata, di momento imprescindibile per ogni ragazza tra i 20 e i 35 anni di Milano e dintorni. Una cosa del tipo "Ah, sì… beh, ci siamo passate tutte, tranquilla". Come l’Erasmus, o il Mom al mercoledì, come le gonne a righe della fiera di Sinigaglia e il collettivo al liceo, o la prima volta che torni a casa brilla e lasci le chiavi appese alla toppa all’esterno.
Ora, dov’è il punto?
Il punto è che è stato provato etologicamente e antropologicamente che carattere, abitudini e addirittura caratteristiche fisiche simili accomunano gli umani ai loro animali da compagnia.
Ecco. Oggi i miei mi hanno comunicato che Emma si accoppierà e figlierà con un cane che si chiama Gigolò.
Sarà di famiglia.

Ma io, astuta, ho voluto due gattini maschi a ‘sto giro. E si farà quello che si deve fare.
A buon intenditor poche parole.

Le avventure di Caio e Puè

Le avventure di Caio e Puè

Avevo già approntato il mio programma della mattinata, che ruotava attorno a tre punti cardine: riordinare la cucina, andarmi a prendere la pizza e soprattutto andare a comprare il dentifricio. E invece.
Stava rannicchiato davanti alla porta di casa, un po’ di lato, come a nascondersi. All’inizio non capivo bene se fosse un calzino evaso o un gomitolo di polvere gigante, e mi sono avvicinata furtiva chiedendomi " ‘se l’è quel rob chi?" quando, con una sorta di illuminazione epifanica, ho realizzato che si trattava di un uccellino, probabilmente caduto dal nido.
Uccellino, ‘nsomma. Aveva le dimensioni di un pollo. E, oltre ad essere davvero brutto, mi guardava pure storto. Diciamo che non c’è stata subito una grande simpatia reciproca. Con ‘sto sguardo di sfida, mi fissava quell’impunito, del tutto ignaro di come si presentava al mondo: grigio scuro, mezzo piumato e mezzo peloso, con il becco lungo e bitorzoluto assolutamente sproporzionato rispetto al crapino rosato e guarnito di pelucchi grigi e strani, lunghi, orridi fili (capelli?) gialli.
"Mamma che brutto che sei!"
Appena pronunciate queste parole però, mi si è come spalancato il cuore. Ho pensato alla storia del brutto anatroccolo, che poi diventa un cigno meraviglioso, e a quante volte io stessa mi sono sentita un brutto anatroccolo, e a quanta ingiustizia c’è nello schernire una povera creatura indifesa solo perchè il suo aspetto è, diciamo, carente di appeal.
Allora l’ho raccolto, piccolo pulcino spaventato, l’ho avvolto in uno strofinaccio e messo al sicuro da Camilla il Bassotto Assassino che bazzica la zona, e ho organizzato il modo di salvarlo.

- Pronto Amore! Dimmi, veloce, la strada per arrivare dal veterinario!
- Pronto, ciao… ma cos’è, l’aiuto da casa di "Chi vuol essere milionario"? Ciao, come stai, mi manchi, non si usa più?
- Dai che non c’è tempo da perdere che arriva Camilla la Sanguinaria e mi sbrana il piccolo Caio
- Ma sei impazzita? Mi spieghi cosa succede?
- Niente, ho trovato Caio davanti a casa, e adesso lo devo portare dal veterinario
- Ma chi è Caio?
- E’ un pulcino, un uccellino caduto dal nido… è bellissimo!
- Guarda che non lo possiamo mica tenere! E poi sarà un piccione schifoso…
- Non è un piccione, ha i fili gialli in testa! E’ un uccello raro e bellissimo e io lo salverò!

Ottenute le informazioni necessarie mi avvio verso il veterinario con il fagottino contenente Caio in braccio. Attraverso la tela ruvida dello strofinaccio sentivo il suo cuoricino spaventato battere veloce, per poi acquietarsi, finalmente fiducioso. Camminavo svelta, tenedolo coperto ma stando bene attenta che potesse respirare, e intanto gli facevo forza.
- Non morire, Caio, non morire. Adesso andiamo dal dottore che mi spiega cosa mangi e poi ti rimettiamo in forze. Diventerai un bellissimo falco, e andremo in giro io e te, e tu starai sulla mia spalla e tutti ci guarderanno passare e diranno "Ecco Caio e la Puella, la falconiera dell’Ortica!" e si inchineranno alla tua maestà. O forse diventerai uno splendido corvo dalle piume scure e lunghe come le notti d’inverno, e io la tua Morrigan, e mi rivelerai il futuro. O forse sei un airone, piccolo Caio, e allora presiederai il giardino con aria distaccata e piena di sussiego, sulle tue zampe esili ed eleganti…

Finalmente eccoci dal veterinario.
- Cos’abbiamo qui?
- Un piccolo uccellino… dev’essere caduto dal nido, l’ho trovato davanti alla porta di casa
- Vediamo… mamma che brutto che è!
- (maccome?!?!)
- Sì, è un pulcino di piccione…
- (maccome?!?!?!?!?!?!)
- Abbastanza  grande… non è ferito… però allevarlo in casa non si può…
- (MACCOME?!?!?!?!?!?!?!??)
- Sai, preparargli il pastone, imboccarlo: uno si fa un culo così, scusa il linguaggio, poi magari si affeziona pure, l’uccello muore e ci si rimane male!
- …sniff…
- No, dai. Vedi? E’ già grandicello, si sa nutrire da solo. E poi bisogna lasciare che la natura faccia il suo corso…
- …sniffsniff… ma… Caio…
- L’unica preoccupazione che puoi avere riguarda i predatori: se non incontra cani o gatti, vedrai che sopravviverà e fra qualche giorno potrà volare e vivere la sua vita felice!
- Allora… sniff… dove lo devo portare?
- Mah, va benissimo un posto dove non ci siano altri animali, magari un po’ isolato, con tanto verde. Tipo Piazzale Susa.

Ho capito. Il veterinario rema contro. Piccolo Caio, altro che Piazzale Susa. Ti porto al parco, ti porto al Forlanini dove troverai tanti altri piccoli uccellini, farai amicizia e inizierai la tua nuova vita.
Andiamo.
Già.
Dov’è il parco Forlanini però?
Chiediamo all’autista della 38!
- Buongiorno!
- Buongiorno!
- Questo va al parco Forlanini?
- Sì
- E mi dice lei dove devo scendere? Mi fa vedere la strada? Perchè, sa… io non ci sono mai andata…
- Certamente! Ma… posso vedere? Cos’hai lì in quel fagottino?
- E’ un uccellino caduto dal nido. L’ho chiamato Caio, adesso il veterinario mi ha detto di portarlo al parco e liberarlo là… poverino: mi fa così tenerezza
- Posso vederlo… oh! Mamma quanto è brutto!

E così ti ho portato sotto i grandi alberi, all’ombra. Altri uccelli cantavano, nella giornata di sole. Ti sei sgranchito le alucce e le zampine, piccolo Caio, batuffolo informe di piume e pelucchi. Hai zompettato un po’, senza perdermi di vista, con quel tuo occhietto furbo e vispo, con quello sguardo da impunito. Mi sono allontanta di qualche passo. Tu ti sei girato, come un ultimo saluto, compagno fiducioso di un’avventura troppo breve. Ti sei messo a becchettare per terra, e ho capito che era giunto il momento di farmi da parte, e lasciarti ad esplorare la tua nuova casa, il tuo nuovo mondo, anzi: il mondo, che aspetta solo te, ad ali spiegate nel vento. Addio, piccolo Caio. Non starò in pensiero per te, ma qualche volta sì, lo sai che ti penserò, e ti immaginerò cresciuto e forte.

- Sai, pensavo che è bello
- Cosa?
- Quello che hai fatto oggi, con Caio… probabilmente io, o anche il veterinario e l’autista della 38 ce ne saremmo fregati
- Eh, lo immagino
- Invece tu ti sei presa cura di lui, l’hai accudito, hai perso tutta la giornata per quel piccolo mostriciattolo…
- Beh, non avrei potuto fare altrimenti. Era giusto così.
- Lo so. E’ per questo che ti stimo come persona, come donna. E’ davvero encomiabile questa tua dedizione alle giuste cause, questa tua passione incondizionata per gli uccelli.
- ….
- ….
- …. Amore, era volontariamente una battuta? O posso mettere le risate registrate?