Quattro pareti. E’ il minimo sindacale. Poi potrebbero anche essere di più, vedremo.
Una porta. Almeno una. Una porta mi serve: da rimanereci chiusa fuori, da sbattere quando sono arrabbiata.
Poi, vorrei un vaso, con detro una piantina. Per quando sarai lontano. Così, giusto per avere qualcosa di cui prendermi cura nell’assenza. Un surrogato. E una scusa per litigare, quando sarò stata via io, e tu l’avrai lasciata seccare.
Tende colorate, che entri la luce e abbia sempre una buona notizia da portare. Tende colorate in tinta con le lenzuola. E’ lì che fabbrichiamo le nostre buone notizie.
Così mi immagino il nostro appartamento.
Come vedi, non ho grandi pretese.
Che poi un appartamento è quello che è. Una scatola, una reggia, una gabbia, un castello, un magazzino, uno sgabuzzino.
Una casa, ecco: quella è tutta un’altra cosa.
Casa. Imparerò a chiamare casa qualunque posto. Ovunque siano le tue braccia forti, e le tue labbra ad aspettarmi.
ecco andate avanti ad amarvi così spudoratamente così io presto o tardi mi arruolo nella legione straniera!
Tsk.
(che bello. sigh.)
il tetto, manca il tetto. E anche un pavimento. Voglio vedere come fate ad amarvi mentre piove e precipitate nella bruna milanese.
Te comunque gli dai le piste a lui quanto a romanticismo. Suca spad.
era una caaasa molto cariiina
senza soffitto
senza cuciiina
non si poteeeva entrarci dentro
perchè non c’era
il pavimento
Una pianta come surrogato di una persona…
Hm. Deve trattarsi di un vegetariano.
jun, ti sei ridotta a sergiendrigo?!
come siete dolci!
et les amis?