Monthly Archives: marzo 2007

Fatti una vita

Fatti una vita
- Beh, io da quando lavoro, non ho mai fatto tardi una mattina, mai! Infatti se devo essere qui alle 9.30 calcolo il tempo necessario per arrivare verso le 9, così posso fare fronte ad eventuali contrattempi.
- E allora io? Pensa, mai saltato un giorno di lavoro! Mi sono presentato anche con 38 di febbre una volta, e una bronchite da paura, ma mica me ne sono stato a casa, io!
- Ah, a me invece mi hanno costretto a fine anno a fare le ferie che avevo in arretrato. Ma mi ci hanno costretto, eh! Fosse stato per me…

Ma è una gara a chi è più coglione, o proprio ci sono persone che hanno bisogno di questo per montarsi una specie di autostima?

Figure e modi validi del sillogismo

Figure e modi validi del sillogismo
La luce nei chiostri era sempre troppo slavata, la biblioteca era sempre un po’ troppo satura di ormoni, le voci sempre squillanti, le bacheche troppo colorate.
Io per decorarmi avevo scelto filosofia.
Per chiudermi in una torre silenziosa di pensieri. Per farmi catturare, prigioniera, per ridurmi ad una candelina pallida e sottile consumata nello sforzo di comprensione e ricerca.
Troppi pappagalli, troppe pose, troppa gente, troppa ignoranza, troppa voglia di emergere, troppi falsi artisti, troppi falsi intellettuali, troppi atteggiamenti, troppi modi di dire, troppi modi di fare, troppi modi di essere sempre banali nello sforzo sterile di volersi distinguere.
Quando io apro un libro, voglio ancora sentrimi un monaco. Quando apro un libro, non ho più i capelli lunghi e il sorriso, ho solo un sentimento piccolo piccolo, piccolo desiderio di immolare le mie sinapsi allo sforzo, consumandomi in ogni piccolo mistero prosciolto, piccolo sacrificio di vanità.

Barbara, Celarent, Darii, Ferioque: lava i miei peccati
Cesare, Camestres, Festino, Baroco: monda i miei pensieri
Darapti, Datisi, Bocardo, Ferison: annulla la mia ambizione
Bamalip, Calemes, Dimatis, Fesapo, Fresison: inghiotti la vanità del mondo
Consumami come una candela pallida.

Marta, o Marina

Marta, o Marina
Ha un nome che inizia con la M, Marta, o Marina, non Maria, Marcella forse, e se ne sta sul tram che tira e frena a strattoni nell’ora di punta. Aggrappata col braccio teso, la borsa gonfia che tirando la manica le scopre il braccio. Fissa caparbia le persone sedute strette, che ad ogni frenata e partenza del tram ondeggiano appoggiandosi le une alle altre, mentre lei con le gambe ben allargate e la mano serrata si tiene in equilibrio cercando di ricacciare indietro le lacrime. C’è ostinazione e orgoglio, non vuole piangere, ma perchè nessuno la lascia sedere? E’ incinta, si vede, eppure nessuno alza gli occhi dalla propria rivista, dal proprio giornale, e lei è lì imponente e incinta davanti ai loro occhi e ai loro nasi, e se la vedono fingono di no, indifferenti, stanno seduti ad appoggiarsi gli uni agli altri nelle curve e la lasciano lì in piedi, scomoda e frustrata. Perchè nessuno le cede il posto? Ad una frenata un po’ più brusca il conducente suona la campanella, e mentre gli altri  si ammassano un po’ di più stropicciando le giacche e le pagine stampate, lei si sente le ciglia umide, mentre sulla fronte la pella liscia e tesa si increspa spinta da una vena che pulsa appena più sotto. E’ la pelle liscia e distesa di una donna incinta, possibile che non se accorgano? Sa di essere grassa, lo sa dalle elementari, ma si vede, no? si vede che la pancia non può essere solo tutta sua, che ha una consistenza diversa dal braccio nudo proteso verso il palo di metallo. La pancia soda, dritta, imponente, grande come tutto il suo corpo, ma piena e viva, non ha la consistenza acquosa un po’ cadente del suo grasso. Come fanno a non capirlo? E’ una donna incinta, anche se è grassa. Ha lo stesso diritto di vedersi cedere un posto. Anche se è grassa. O forse la guardano, e vedono solo una donna grassa? Forse è così grassa che non si vede che ha la pancia da settimo mese? E allora le lacrime pungono un pochino più forte, perchè un po’ è stato anche per questo che si è fatta mettere incinta in quel modo, per provare a se stessa e al mondo di essere una donna. Una donna a tutti gli effetti. E ora, all’apice della realizzazione della femminilità, nell’apoteosi del suo essere donna e femmina, ora comunque tutto quello che si sente è di essere grassa, ingombrante e grassa. Tutto quello che i non-sguardi la fanno sentire. Prima la gente la guardava per disprezzarla, o almeno così lei credeva. Ma con il bambino in arrivo aveva pensato che forse qualche gentile signora le avrebbe posato una mano sul ventre, le avrebbe chiesto se sapeva già se sarebbe stato un maschietto o una feminuccia, sarebbe stata viziata e coccolata come mai nella vita, guardata con rispetto per una volta, giustificata nella sua mole, nel suo grasso, nelle sue carenze. E invece nulla di tutto ciò, nemmeno un’anima che le ceda il posto sul tram, dal disprezzo all’indfferenza. E le lacrime sarebbero certamente scappate fuori dagli occhi, rompendo le barriere di ostinazione e orgoglio, l’autocommiserazione come al solito avrebbe vinto, se proprio in quel momento per fortuna non si fosse liberato un posto. Allora lei si siede adagio, con attenzione, prende la borsa in grambo e sempre a gambe larghe si sistema la manica del cappotto a ricoprire di nuovo il braccio senza peli e arrossato. Dalla borsa estrae uno dopo l’altro dei piccoli sacchettini di cellophane, come quelli delle sorprese delle merendine. Li scarta uno dopo l’ altro, e dentro ci sono sempre dei piccoli ciondoli tipo quelli da attaccare al cellulare o al portachiavi, con diversi personaggi di cartoni animati. Prende il sacchettino, lo scarta con le mani gonfie, avide, lo strappa, estrae il ciondolo, lo rigira tra le dita, lo guarda appena e lo caccia in una tasca laterale della borsa per passare subito al successivo. E così per diverse volte, sacchettino, strappo, dita avide, veloci, apre la zip, lo infila, richiude la zip e si avventa con le mani rapaci sul successivo. E c’è qualcosa di ossessivo, anzi, di compulsivo in questa frenesia, nel rigirarsi frettolosamente la sorpresa tra le dita per poi subito nasconderla via e buttarsi sull’altra, senza godere, senza attenzione per l’oggetto ma solo per il gesto, senza vera curiosità, senza piacere. Ma poi arriva la mia fermata e scendo, e nella mia mente saluto Marta, o Marina, e quella cosa piccola che porta nel ventre, e quella cosa nera che le rende così fragile e spietata, e scendo nel freddo che mi vuole bene perchè anche io ho finito le scuse e ho fame.

Frase del giorno – Immensamente Giulia

Frase del giorno – Immensamente Giulia
Suonerò al suo matrimonio, e la mia deontologia mi impedirà di sciogliermi in lacrime di gioia e commozione salvandomi il trucco. E capisci al volo che per una come lei non si può la solita marcia nuziale quando varcherà radiosa la soglia della chiesa, quindi le stavo sottoponendo varie scelte alternative per quel momento. Tra cui il tema delle Variazioni Goldberg. E lei entusiasta:
- Mi piace questa! Voglio questa! Mi fa sentire così… così… mi fa sembrare più magra!


La musa imperfetta

La musa imperfetta

- Dev’essere meglio ricordarti
- Meglio di cosa?
- Meglio di godere di te, lì, al momento. Secondo me dai il tuo meglio nel ricordo
- Stai dicendo che verresti a letto con me per il gusto di potermi ricordare?
- Non riesco nemmeno ad immaginare come sarebbe con te. Almeno nel ricordo avrei qualcosa in cui struggermi
- Ma perchè.
- Perchè sei una musa imperfetta. Non esisti nel presente, quindi non esisti nemmeno nel futuro: non ti posso immaginare, non ti so immaginare. Puoi solo essere un bel ricordo, per assolvere al tuo compito.

Io catalizzo gente strana. Ma strana forte, eh.

Il fondo degli occhi è vetro

Il fondo degli occhi è vetro
Sono giorni in cui tante persone mi guardano negli occhi, fisso. E non so cosa ci vedano, ma è come se mi mettessero una mano sotto il vestito, sotto la pelle. Potete guardarmi negli occhi senza infrangermi i segreti, per favore? O almeno, potete raccontarmi poi cosa ci vedete dentro a questi occhi miei, che mi scavate e frugate fino a prenderne a unghiate il fondo?

Devo imparare un modo per difendere la mia fraglità, per non perderla come un bottone o come uno dei miei troppi treni.

Ho preso un vaso quadrato di resina marrone, un ramo secco dentro a cui ho adagiato cinque anthurium rossi e poi ho colmato il vaso di corteccia. Sono autunno, anche a primavera. Cosa sperate di trovare dentro ai miei occhi?

Fable

Fable
Che me l’hanno passato come il gioco fighissimo in cui ti perdi per giorni interi, che le partite durano una vita, che non ti puoi annoiare dalle tante cose diverse che succedono, e che hai un sacco di scelte, e poi troppo divertente vedere come tutto intorno al tuo personaggio cambia a seconda delle tue decisioni e poi è troppo intrigante e alla fine vedi il mondo sotto una luce nuova.
E io dopo h 1.46 di gioco, sono già morta?