Monthly Archives: dicembre 2006

Tre immagini dell'amore

Tre immagini dell'amore

I
Ho ricevuto una lettera. Una lettera vera, di carta, scritta con l’inchiostro blu, e con tutta la sua busta con l’indirizzo sopra e i francobolli. E allora ho pensato a quando non esistevano gli sms, o internet, a quando le comunicazioni erano lente, quando il telefono non c’era, e nemmeno il telegrafo. E ho pensato ai piccioni viaggiatori, come quando ero piccola e mi affascinava l’idea di questi uccelli con una pergamenta legata alla zampina che volavano alto, trasportando -ma forse meglio custodendo- messaggi e pensieri. E mi domandavo, da piccina, come facessero i piccioni a conoscere gli indirizzi a cui recapitare quei minuscoli rotoli sigillati in nastri rossi e ceralacca. Poi mi hanno spiegato che il piccione viaggiatore in realtà viaggia sempre e solo in un’unica direzione: venendo allevato in un luogo, una volta portato lontano tende a tornare nel luogo da cui è partito. Quindi i messaggi e i piccioni potevano volare solo in un posto, solo verso casa. E così è anche il mio cuore, annodato di nastri e di pensieri non detti e di emozioni antiche. Torna sempre verso casa, verso te, preziosa amica mia, al luogo a cui appartiene interamente dall’inizio delle nostre piccole vite.

II
Forse era un giorno di sole, o forse era solo una mattina di Milano del 1983. Ti sei avvicinata con tutti i tuoi occhi verdi e mi hai chiesto “E’ vero che sai leggere? Mi leggi questo? Io mi chiamo Paola”. E insieme a un “Topolino” strapazzato mi hai porto con la mano la tua prima bugia. Non eri Paola, eri Paoletta, la mia Paoletta che sarà per sempre mia.

III
Una sera, al Roialto. Io avanti in motorino, vi facevo strada perché sulla due posti del tuo ragazzo non ci stavamo. I tuffi in piscina, per quanti anni? Quanti? E quando mi hai riportato Chiara, ad un mio concerto – Chiara di sei anni con la coda di cavallo, e me l’hai riportata Dottoressa. E quell’autunno crudele, terminato in un Gennaio freddo, col tuo maglioncino bianco-bianco, eri sorridente anche mentre piangevi. Quando ci nascondevamo e ridevamo: “prendete il caffè!”, per strappare alle nostre mamme quei dieci minuti preziosi per stare ancora insieme. E al mare, le estati da te, e ti ricordi bene che non giocavo a palla in spiaggia, e tu eri sempre così solare e abbronzata, e ora che ci penso, il primo cubalibre l’abbiamo bevuto insieme – colpa di tuo cugino. Il tuo orsone, bellissimo Orsone. Londra con gli attentati, l’angoscia di saperti là. I letti vicini, il bagnetto insieme. Mi avevi mostrato emozionata il tuo diamante, avrei suonato per te quel giorno. E non avrei mai pensato di poter essere così insulsa, così distratta, così crudele da rischiare di perderti. No.

Wannabe… blogstar?

Wannabe… blogstar?

E’ stata tracciata l’immagine della galassia blog.
Evviva.
Adesso, in ogni blog che leggo, trovo gli autori che si fanno pompini a vicenda (
cit.) del tipo "oh, guarda come siamo vicini!", e "accipicchia, sto proprio a fianco a Personalitàconfusa", piuttosto che "ehi! fatti più in là, non vedi che mi pesti le orbite?" (alcuni esempi concreti).
Bene.
Ecco. Io, accidenti a Keplero, non ci sono. Nemmeno ai margini di questa galassia.
Malapuella come Plutone: le viene rinnegato lo status di pianeta ed è quindi confinata ai margini dell’iperspazio, costretta a vagare come il più misero degli asteroidi senza meta nè fissa dimora.
A meno che – ed è la via che sto tentando – non riesca a suon di links a farmi risucchiare nel campo gravitazionale di qualche
big della galassia, che mi faccia conquistare almeno il titolo di satellite.
E poi.
Una sera parlando con
Ocrampal, uno che ne sa, uno che ha fatto Splinder, mica cazzi, dicevo: una sera parlando, Ocrampal mi dice:
"Hai notato che praticamente nei blog degli uomini commentano quasi solo donne, e nel blog delle donne commentano quasi solo uomini?".  Ahssiiì?
Ecco. Il mio blog, oltre ad essere un meteorite senza dignità, è anomalo pure da questo punto di vista. Le mie più fedeli lettrici e assidue commentatrici sono donne. Com’è?
E poi.
C’è la triste questione delle
cifre. Gli accessi. Le statistiche. Le pagine viste.
Numerini che salgono e scendono, ma che ahimè non appagano affatto la mia brama esibizionistica.
Io non pretendo di giungere ai livelli di alcune mie
esimie e splendide colleghe bloggher, che si sono meritate un posto di rilievo nella blogosfera grazie alla loro intelligenza e al loro talento e che per questo stimo profondamente, davvero.
Però.
E’ otto mesi che ho aperto questo blog. Mi sono impegnata. Ho aggiornato quasi quotidianamente. Mi sono ammazzata di aperitivi, feste e vita mondana. Mi sono pure accasata con un bloggher, per carpire il segreto del suo successo. Vi ho fatto ridere, vi ho mostrato la mia anima, vi ho raccontato i cazzi miei e un po’ anche quelli altrui, sono stata allegra, triste, polemica, ironica, istrionica, superficiale, poetica, acida, stridula, pedante, sorniona,  e… sinceramente, mettevi una mano sulla coscienza:
cosa potrei darvi di più?
cosa vi ho fatto mancare fino ad ora?
cos’hanno gli altri blog che io non ho?

… gradite forse del panettone?

Non per essere presuntuosa, ma volevo solo dare una mano per salvare il mondo!

Inganno/1

Inganno/1

Perchè comprare un libro sullo stile (contenente preziosissimi consigli su argomenti quali servire a tavola, arredare il salotto, profumare la biancheria etc), e poi scoprire solo a pagina 148 che non solo l’autrice è inglese, ma che addirittura ha messo in camera da letto la carta da parati a fiori?

Mi punge nuova vaghezza

Mi punge nuova vaghezza

Il corridoio era pieno di gente che si affettava, chi verso l’uscita chi verso l’interno. Io ero tra quelli che correvano verso l’uscita, e in testa mi girava una frase: "Mi punge nuova vaghezza". Chissà dove l’ho sentita, chissà se l’ho inventata, forse è il verso di una poesia o di una canzone, o forse è solo un collage prodotto dalla mia mente. Mi punge nuova vaghezza. Il corridoio e stretto, tra le due porte taglifuoco con gli oblò di vetro, mi sono fatta su un lato, per far passare chi veniva in direzione opposta senza perdere il ritmo. La sigaretta già in bocca, cappotto allacciato, mi punge nuova vaghezza di essere fuori finalmente e accendere. Mi punge nuova vaghezza. E incrociamo così gli sguardi e i lembi delle sciarpe si sfiorano. Come in un film, quando la scena viene montata al rallentatore. Sospesi, occhi negli occhi, ognuno in corsa in due direzioni diverse. Mezzo sorriso, le teste che si voltano, nessuno dei due si ferma per non perdere il ritmo, e io ho una sigaretta da accendere al più presto. Ma mi punge nuova vaghezza di quegli occhi scuri, di quel mezzo sorriso. Ti conosco? So chi sei? Solo un’altra volta ho provato questa sensazione di riconoscimento impreciso e impossibile. Eravamo ad una festa, lui è entrato con una ragazza bionda. Io ero con il mio ragazzo di allora. Ci siamo visti, abbiamo riso alla nostra presentazione. E poi tutta la sera. Abbiamo riso e parlato, e scambiato ricordi, come se, sì, sembra banale, ma era davvero così fra noi: come se ci conoscessimo da una vita. Poi la festa è finita, ognuno è tornato nella sua casa, numeri di telefono scambiati. Ci siamo rivisti solo un’altra volta. Ma in ogni luogo lontano in cui ti portava il tuo lavoro, nella stanze d’albergo e nelle sale spaziose, mi mandavi un messaggio, e quando tornavi a Torino mi telefonavi. Io compravo tutti i giornali quando parlavano di te, e i tuoi cd, e anche una rivista con la tua foto a colori. Umberto…
Mentre accendo la sigaretta mi viene in mente la tua foto. I tuoi capelli leggeri, il tuo mezzo sorriso irresistibile e sornione… Umberto! La foto, tu. E appena realizzo, so che sei tu che mi stai prendendo per un braccio, mi giro, ridiamo, ci abbracciamo. E’ così che va tra noi.
- stai bene
- anche tu
Per un attimo, di nuovo quella sensazione, incredibile, di trovarsi davanti a chi sa tutto di sè
- e…
- no, ci siamo lasciati
- ah, sì anche io e…
- lo sapevo
- curiosa!
E per un attimo, un attimo solo, attenzione, ognuno con le mani aggrappate alla sciarpa dell’altro, abbiamo guardato in quello che non sarà mai. Di nuovo mezzi sorrisi. Senza imbarazzo.
- ora vivo con…
- sai, io sono sempre in giro…
- però chiamami quando sei a Milano!
- ma tu, mi vuoi sempre bene?
- lo sai che te ne voglio! E tu?
- come nell’altra vita, quella in cui sei stata sicuramente mia. Ci beviamo qualcosa?
- naaa…
- mi stupisci!
E mi punge nuova vaghezza che tutto questo sia piuttosto assurdo.
Freddo sulle guance, cammino veloce verso la metro, e mi porto dietro il sorriso a metà di Umberto. Le anime simili si incontrano prima o poi, almeno nei film.
Noi continueremo a reincontrarci, di vita in vita.
Non è questa quella in cui ci apparteniamo.
Butto la sigaretta, contenta.
E’ bello sapere che ci siamo, da qualche parte, e che ci vogliamo bene.
Mi punge nuova vaghezza, poi: chissà dove l’ho sentita, e chissà cosa vuol mai dire.

Quasi inverno

Quasi inverno

Cose invernali.
Come le labbra screpolate. Come la sciarpa di lana a righe. Come aspettare che la pioggia diventi neve.

Cose invernali.
Come non voler mai uscire da sotto il piumone. Come la tisana al pomeriggio. Come il profumo di cannella, arancia e chiodi di garofano.

Cose invernali.
Il respiro condensato nell’aria. Le sere brevi. Avvolgersi in un plaid a guardare un film. Le mani fredde sulla pelle. La voglia di abbracci. Il letargo. La noia.

La noia, la noia.

La noia.

E che bello cullarsi in questa noia.

Ricordi

Ricordi

Il mio primo fidanzato un giorno mi ha dato dell’ignorante perchè pur studiando tedesco non avevo mai letto un libro di Guìt. Io gli dissi che questo Guìt non lo avevo mai nemmeno sentito nominare.
Dopo giorni e giorni venne fuori che con l’ilare pronuncia Guìt lui intendeva Goethe.
Ho provato ad insegnargli la pronuncia corretta, ma lui era abruzzese e il massimo che sono riuscita ad ottenere fu un abominevole Gheete.
Fu allora che presi la restrittiva decisione di darla solo a ragazzi corredati da un alfabeto fonetico completo.

Certo. Certo che sono dolce.

Certo. Certo che sono dolce.

Certo che sono dolce.

So essere dolce come il latte col miele, a molcire i tuoi dolori.
Posso essere dolce di vaniglia, innocente perversa. Banale.
Dolce di notte, con la luce filtrata che mi fa ombre di caramello sul seno.
Dolce di giorno, colorata, morbida, allegra come un marshmellow.
Dolce nei gesti, attenti e rallentati, quando ti chiudo il mondo fuori per farti riposare.
Dolce nella voce, quando ti chiamo il sonno, che possa avvolgerti e portarti lontano.
Dolce al risveglio, ti apro gli occhi con lentezza, il tuo primo raggio di sole.
Posso essere dolce e melensa, colarti tra le dita come melassa, come una mou che si scioglie al tuo calore.
Posso essere dolce in modo discreto: un’arancia che si nasconde dietro al suo falso aspro. O mi preferisci sempre ciliegia dalla buccia che cede al primo morso?

Conosco mille modi di essere dolce.
E aspetto che tu possa scoprirli piano piano, uno al giorno, per poi inventarne altri assieme.

Non ho mai nascosto la mia dolcezza, mi è impossibile.
Ma chiamami un’altra volta "zuccherino", bello mio, e ti appiccico al muro. Chiaro?