Ti voglio leggere

Ti voglio leggere

Io lo giuro, davvero, croce sul cuore: non c’è stata nessuna premeditazione. E’ solo che oggi pioveva e avevo bisogno di un rifugio durante la pausa pranzo che di solito passo spaparanzata al parco con un libro in mano. E così, forse inconsciamente guidata dall’insoddisfazione di dover saltare la mia oretta di lettura ricreativa, mi sono diretta in libreria. Ecco sì: è stata colpa dell’inconscio e della pioggia. Poi appena sono entrata in libreria ho visto questa pila di libri dalla copertina colorata e mi è venuto spontaneo prenderne uno in mano, e poi ho letto il titolo e non ho fatto quasi a tempo a realizzare che avevo appena letto su un socialnettuò che oggi proprio oggi sarebbe uscito quel libro proprio quel libro di questa ragazza proprio questa qua che già mi trovavo alla cassa, bancomat in mano, pin inserito, libro in busta. E cosa avrei dovuto fare, eh? Riportarlo indietro?

Quindi ci stai dicendo che non volevi comprare il libro incriminato?

Esatto. Ma non solo nel senso che mi sarebbe stato indifferente comprarlo o meno. Proprio non volevo, ero contraria, ero fermamente convinta mentre leggevo dell’imminente uscita di questo libro sui socialnettuò che mai e per nessuna ragione al mondo l’avrei comprato. Proprio non volevo. Io. No.

E perché tanto astio?

No, ma quale astio? Nooo… e che paroloni…

Sì insomma: eri determinata a tutto pur di non comprarlo. E poi esattamente il giorno in cui esce in libreria ti fiondi in pausa pranzo e te ne procuri una copia. Cos’è successo? Siamo qui per capire… cosa ti ha fatto cambiare idea?

Mah… saranno stati tanti fattori… uno scherzo del mio inconscio. Le lusinghe del marketing 2.0. La curiosità.

Ridillo.

Tanti fattori… un impulso inspiegabile, la voglia di capire.

Dai, dillo bene. L’invidia?

Hahahaha. Nooo! Ma quale invidia? Ma non scheriziamo! Di cosa dovrei essere invidiosa io? No…
*colpo di tosse imbarazzato*
Cioè: questa ragazza qua, cos’è che avrebbe per cui io dovrei essere invidiosa? Un blog? Ce l’ho anche io. La frangetta? Ce l’ho anche io. E’ bella? Io pure. Il fatto che alla mia età sia mamma, moglie e abbia appena pubblicato un libro? Sì, bello, c’è stato in effetti un momento in cui anche io avrei pensato che diventare mamma, moglie e scrivere un libro entro i trent’anni mi sarebbe piaciuto parecchio. No, ma l’ho superata quella fase io. No, no, queste cose a me mica interessano. Ecco. Oddio, un po’ mi viene da domandarmi perché il mio blog non se lo fila nessuno e il suo sì, e perché abbiano proposto di scrivere un libro a lei e a me no. E anche perché a me nessuno mi si piglia, insomma, non sono alta e bella come lei, però faccio ancora la mia porca figura e qui il tempo stringe, e poi lei si mette questi vestiti bellissimi che io fra poco non potrò più permettermi e ha delle scarpe troppo belle che io non mi posso già permettere adesso e la vita è terribilmente ingiusta perché anche io ho del talento, anche a me piace scrivere, e avrò pure il diritto di mettermi delle scarpe così belle e di avere un uomo che mi sostiene al mio fianco e mettere su famiglia e vedere risconosciuta la mia passione per la scrittura avendo il mio romanzo d’esordio pubblicato da una delle più importanti case editrici e il mondo è  ingiusto e crudele e sbagliato e tutte le cose belle sempre agli altri e a me mai e perché  perché perché?!?
*si ricompone*
Tu questa la chiami invidia? Dico, la chiami invidia questa? Non si vede che è pura curiosità antropologica?

(il post è  a forma di intervista per ovvie ragioni di invidia dato che non mi intervista nessuno)
(il post è a forma di pera per ovvie ragioni di invidia punto)

C'ho il mal di Dente*

C'ho il mal di Dente*

Lui sta lì tutto magro e spettinato, con la sua chitarra, le luci, le freddure, l’asta del microfono che non si blocca e alla fine di ogni canzone a me viene voglia di andargli vicino e dirgli di non preoccuparsi, che tutto andrà bene, anche se scrive cose che strizzano il cuore poi le può sempre cambiare. E che anche a me piacciono le canzoni che finiscono tristi e fa bene a finirle così le sue, anche se poi mi viene voglia di dirgli “dai, adesso la finiamo bene: l’ultima strofa e facciamo andare tutto a posto”.

* lo so che questo titolo è penoso, ma cosa ci vogliamo fare? ormai è lì

Cose di solfeggio

Cose di solfeggio

All’inizio devi decifrare. Ad ogni segno sul pentagramma dare il nome della nota, cercare il tasto corrispondente e pensare a quale dito lo deve suonare e poi verificare con l’orecchio se è più o meno giusto.
Segno, nome, tasto, dito, suono. E poi un altro. Segno, nome, tasto, dito, suono. E poi un altro. E un altro ancora.
Si impara a “leggere” la musica, ma non è come imparare a leggere, e nemmeno come imparare una nuova lingua. E’ un linguaggio che diventa gesto e poi diventa suono, e i passaggi sono lunghi e macchinosi.
Segno. Nome. Tasto. Dito. Suono.
Poi passano i mesi. E gli anni. Ogni giorno, tutti i giorni, tante ore.
Ti sembra di padroneggiare ormai quel processo di traduzione perché i problemi si sono spostati dal decifrare “segno-nome-tasto” a “dito-suono”. Non sei più preoccupato dal leggere, sei preoccupato dal gesto.
E passano le ore, tante ore, tutti i giorni. Per mesi e per anni.
E le mani rispondono: sai quale gesto corrisponde a quale suono. Il polso, l’avambraccio, la spalla, fino al peso della schiena e a come puntare il piede: tutto è funzionale solo al suono.
Torni indietro e ti accorgi che non leggi più.
Ogni nota sul pentagramma ha perso il suo nome. Non sai quale dito corrisponda a quale tasto. Il pentagramma è un arabesco di forme, note ammucchiate, incatenate, aggrovigliate, allungate: sono solo forme. Le guardi così come sono tutte insieme nei loro disegni. E nella testa immagini il suono che stanno a significare. E le mani si appoggiano ai tasti  e senza mediazione ti portano quel suono.
E hai passato ore e mesi e anni ad imparare un linguaggio che è diventato veramente tuo nel momento in cui lo hai dimenticato. Distrazione dell’artista, non ti sei ovviamente accorto nemmeno di quando è successo.

We all need to be alone

We all need to be alone

We All Need To Be Alone

Era sera tardi e non avevamo mangiato. Tu guidavi e sceglievi la musica mentre parlavamo di niente, con leggerezza. La strada era bagnata dalla pioggia e rifletteva nelle pozze le luci gialle dei lampioni, il cielo era nero nero e i palazzi erano così lucidi da sembrare nuovi. Un ragazzo occupava quasi tutta la corsia su una bicicletta altissima, come quelle del 1800: una ruota enorme e lui in alto a pedalare. Mi ricordo che quando ti ho chiesto come avrebbe fatto a scendere tu mi hai risposto “piuttosto, come ha fatto a salire?”. Poi l’abbiamo superato, abbiamo svoltato a destra e ripreso il filo delle nostre conversazioni sconclusionate.
Mi stupisce la mia recidiva abilità di registrare ogni dettaglio.
Mi piace la mia recidiva abilità di non dare troppo peso alla poesia.

Niente da dichiarare

Niente da dichiarare

Lo scrivo così, per il gusto di farti salire dell’ansia, perché prima o poi lo troverai questo posto, me l’hai detto tu che ancora lo stavi cercando. E siccome siamo sempre stati molto bravi a non lasciarci in pace, a non ricercare il modo di essere quieti e felici, continuiamo le antiche tradizioni nel nome di tutto quello che non è stato.
Mentre tu dormivi e mentre fuori cadeva la pioggia io ho accarezzato con la punta delle dita la tua libreria. Tutti i libri che ho già letto, tutti quelli che vorrei leggere. E poi ho toccato i libri impilati sul tavolo, alcuni è pazzesco sono gli stessi che ho comprato la settimana scorsa. Ho spostato per farti un dispetto la disposizione dei portacandele, che sono ancora lì esattamente dov’erano anni fa. Poi li ho rimessi a posto, perché non avresti colto il lato umoristico. Ho guardato la tua cucina disordinata, come non me l’avevi mai mostrata, e ho pensato a tutte le volte in cui hai provato a nascondere quanto fossimo uguali.
Ho fatto la doccia, mentre tu dormivi, e poi ho aperto l’armadietto del bagno, ho usato la crema idratante per il viso che lei ha lasciato da te. O forse è ancora quella delle tua ex, comunque ho controllato che non fosse scaduta. E’ buona, anche se di una marca da supermercato, per una volta può andare.
E camminavo a piedi nudi sul rovere sbiancato dei tuoi pavimenti e mi immaginavo che sarei stata un incanto vestita con dei pantaloni bianchi di lino e una maglia taupe morbida sui fianchi, mi sarei presa cura delle orchidee e avrei controllato ogni pochi giorni la mia fertilità. In uno di quei mondi paralleli in cui le persone si incontrano nel momento giusto e provano ad essere quiete e felici e le cose vengono via facili, e le malinconie si allevano sotto vetro solo perché hanno un bel colore.

10 cose che un amico fa

10 cose che un amico fa

Breathless

1. non si scandalizza quando lo avvisi che arriverai con mezz’ora di ritardo

2. se ne infischia della tua dieta e ti cucina una cena delizosa a base di carboidrati

3. ti ascolta mentre racconti le tue disavventure sentimentali, commentando solo di tanto in tanto

4. si permette senza timore di dirti dove e quando ti sei comportata da stronza

5. non si permetterebbe mai di dirti dove e quando hai sbagliato

6. ti racconta storie torbide e complicate per aiutarti a mettere tutto in prospettiva

7. ha sempre una torta di cioccolato da offrirti. a volte solo cioccolato, a volte cioccolato e pere, a volte cioccolato e arancia

8. ti porta in camera da letto e ti bacia

9. ti fa ridere dopo aver fatto l’amore, mentre ti rivesti e mentre ti accompagna a casa

10. ti vuole bene e si fa voler bene

Many shades of black

Many shades of black

Many Shades Of Black

Just to let you know. Just to do my head in, a little more. Just to get my head ’round it, or at least that’s what I’m trying to do.

It’s not time for rage anymore. But we are so fucked up, my dear, we have been so wrong and for so long there isn’t any easy way out. Nor way in. But still, we are such a mess that there’s no way we aren’t going to sort this out.

Don’t say you need love (I know you do)

Don’t say you need love (I know you do)

Don’t Say You Need Love (I Know You Do)

Poi c’è stata quella sera in cui pioveva e io uscivo dal locale infilandomi la giacca di fretta. Mi hai raggiunto ai tornelli della metropolitana, mi hai stretto un braccio e allora ti ho detto “camminiamo” e siamo tornati fuori, sotto la pioggia, a camminare e parlare. E io piangevo e i capelli mi si attaccavano alla fronte e volevo solo che tu me li scostassi dicendo che sarebbe andato tutto bene. Invece continuavamo a camminare e parlare, finchè davanti ad una chiesa mi sono girata, mi sono messa di fronte a te e ti ho detto che eri un vigliacco e un ipocrita e tu ancora non hai fatto nulla, e ti ho chiamato coniglio e bastardo e tu non hai detto nulla. Continuavi a non fare nulla, se non farti venire un’espressione triste sugli occhi, ma io stavo piangendo e volevo che mi dicessi qualcosa per farmi smettere, così siccome non succedeva mai ho ricominciato a camminare e tu hai ricominciato a sentirti nel giusto e io ero furibonda e tu appena un po’ triste e abbiamo ancora camminato e camminato finchè non sono arrivata ad una fermata di un autobus che poteva andare bene e tu mi hai messo una mano sulla spalla e hai scosso la testa e mi hai lasciata salire sull’autobus. E io ti odiavo per tutto quello che non eri stato capace di fare, e tu invece eri solo un po’ triste, e io quella notte non ho dormito pensando che tu stavi invece dormendo e facendo sogni appena un po’ tristi e mi sono alzata, ho lavato via la pioggia dai capelli e ho deciso che non valevi più niente e per tre giorni ho pensato a com’eri prima e com’eri ora che non valevi più niente, ed ero anche io un po’ triste. E tu invece eri furibondo, e me lo hai detto e da lì abbiamo ricominciato a valere qualcosa.